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Nuova confezione,nuove etichette per bottiglie: storia di un restyling
“Se in primis non sono soddisfatta del progetto lo reputo un lavoro mal riuscito." Con queste parole si percepisce la passione che Carolina Artuffo, giovane designer di Labelado, mette in tutti i suoi progetti. Quici racconta di come sono nate alcune etichette per bottiglie molto particolari…
Carolina Artuffo è la giovane designer del team Labelado, mente creativa del gruppo e giovane imprenditrice. Da anni si cimenta con nuovi progetti dando sempre importanza all'aspetto tecnico dell'etichetta. Si autodefinisce una stylist di prodotti. In fondo vestire una confezione è il suo lavoro. Abbiamo avuto modo di fare due chiacchere con lei per parlare de "La Botticella", progetto molto interessante che l'ha vista protagonista nel restyling e nella creazione di etichette per bottiglie di prestigiosi liquori.
1. Descrivici il progetto "La Botticella". Parlaci un po’ dell’azienda per cui hai lavorato e del prodotto che hai vestito.
Uno dei progetti di cui mi sono innamorata di più è "La Botticella" realizzato per la Distilleria Beccaris, distilleria storica (1951) alla terza generazione. Le nuove leve hanno sentito l'esigenza di riprendere la storia dell'azienda ma con un tocco moderno. È da questo che nasce il progetto "La Botticella", la bottiglia iconica dell’azienda che è stata ristudiata, modernizzata e realizzata in vetro trasparente in modo da far vedere il prodotto al suo interno.
La bottiglia originale è sempre stata molto scura e non dava abbastanza risalto al prodotto. Il mio ruolo è stato proprio quello di stylist. Il mio obiettivo è stato vestire il prodotto in ogni suo aspetto, dalla capsula all' etichetta per bottiglia. Siamo partiti dalla linea delle grappe, linea di pregio dell'azienda, per poi passare al lavoro più complesso: realizzare una linea di liquori composta da ben 12 prodotti diversi, dall’amaro al bitter, dal gin al genepy. È stato un lavoro entusiasmante ma nello stesso tempo molto complicato.
2. Descrivici il processo creativo. Come sei arrivato all’etichetta finale? Cosa ti ha portato a fare le scelte stilistiche che ritroviamo sull’etichetta.
Per questo progetto sono state realizzate tre etichette per bottiglie diverse, dalla più classica alla più moderna. L’opzione di utilizzare dei simboli per ogni prodotto e di creare con essi dei pattern è piaciuta subito al cliente. Abbiamo poi studiato due colori per ogni prodotti, in alcuni casi colori contrastanti, in altri diverse tonalità dello stesso colore, dai colori più accesi a quelli pastello.
Ovviamente la scelta cromatica è stata dettata dal tipo di prodotto che doveva rappresentare. Definita questa idea di base ci siamo ispirati ai diversi “mood” del cliente finale. La linea di maggiore pregio di distillati è caratterizzata da tonalità pastello, carta goffrata, dettagli in lamina e pattern minimal che rappresentano il mood classico e ricercato degli appassionati. Al contrario, la linea di liquori e amari si contrappone con lo stile grafico tipico dei cocktail bar milanesi, grazie all’uso di pattern più complessi, carta patinata, colori intensi e dettagli in oro pasta.
3. Descrivici le richieste del cliente. Dal brief iniziale fino all’ultima parola del cliente, quali sono state le sue richieste? E quali erano invece i tuoi obiettivi?
Quando abbiamo cominciato a parlare del restyling della confezione e delle nuove etichette per bottiglie, le prime parole del cliente sono state: “Dobbiamo dare una nuova veste a questa linea, valorizzarla ma senza rovinare la bella storia che vi è dietro. Adesso è tutto compito tuo.” Non c’è frase più bella. Il mio obiettivo principale, sicuramente, è sempre soddisfare il cliente e, ovviamente, essere soddisfatta del lavoro svolto. Se in primis non sono soddisfatta lo reputo un lavoro mal riuscito.
4. Descrivici le vostre sensazioni quando avete visto il progetto finito. Il prodotto finale ha rispecchiato la vostra idea? Le lavorazioni scelte rispecchiano quello che ti immaginavi?
È stata un’ottima sorpresa vedere tutti i prodotti insieme, e vedere che il lavoro nel complessivo era esattamente come l’avevamo immaginato.
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